30 Nov Intervista a Chiara Segré
Chiara Valentina Segré ci ha abituati alle sue storie di grande intensità, spesso su temi difficili, sempre trattati con grande delicatezza e senza retorica. Oscar il gatto custode, il suo ultimo albo, illustrato da Paolo Domeniconi, affronta un tema decisamente forte, un tabù nella letteratura per ragazzi in Italia, quello della morte spiegata ai bambini. Abbiamo chiesto a Chiara di raccontarci qualcosa di più su come è nata questa storia.
Da dove ti è arrivata l’ispirazione per Oscar il gatto custode?
Ancora prima di scrivere la prima bozza di quella che sarebbe diventato Oscar, volevo scrivere un libro che parlasse della fine della vita. È un tema che avevo già in parte trattato nel mio primo albo illustrato, Gedeone (pubblicato da Il Gioco di Leggere nel 2010), ma avevo questo pallino di rappresentare il momento della dipartita, che tanto ci spaventa, con l’immagine di una bambina piena di luce che quasi aspettiamo come un’amica che conforta, in opposizione al cliché della vecchia signora con la falce tutta nera. Avevo questa potente immagine nella mente, potente ed evocativa, ma mi mancava una storia forte intorno. L’ispirazione mi è arrivata nel più improbabile dei luoghi: un laboratorio di ricerca. Era il 2007 e all’epoca stavo concludendo la tesi di laurea specialistica in biologia e lavoravo in laboratorio. Scorrendo la letteratura di settore, per caso sono incappata in un editoriale pubblicato sul New England Journal of Medicine, una delle più prestigiose riviste scientifiche specialistiche del mondo. L’autore era Davide Dosa, medico geriatra, e raccontava la storia straordinaria di un gatto residente in una clinica per malati terminali neurologici, che percepiva quando i pazienti stavano per morire, e si accoccolava con loro fino alla fine. In quel momento capii che avevo trovato la mia storia, anche se poi ci ho messo alcuni anni prima di scriverla e pubblicarla. Ha avuto un lungo percorso di rielaborazione interiore.
Perché hai deciso di farne proprio un libro per bambini?
La maggior parte delle persone che hanno già letto Oscar il gatto custode hanno così commentato: “Complimenti, sei una che osa”. Questo per me è un gran complimento, perché penso, con Oscar, di aver fatto proprio questo (e con me, ovviamente, l’illustratore Paolo Domeniconi e Camelozampa, la casa editrice che lo pubblica).
In Italia si contano sulle dita di una mano gli albi illustrati e in generale, i libri scritti da autori italiani che affrontano il tema della morte e molti di quelli che ci sono non mostrano il momento esatto della dipartita, cosa che invece vediamo nel mio libro attraverso gli occhi di Oscar. Ma era proprio questo che volevo mostrare: vivere un’emozione, anche di qualcosa che ci spaventa e ci rende tristi, attraverso la letteratura ci rende più forti per quando dovremo affrontarla nella vita vera. Ciò che impariamo ed elaboriamo da piccoli, sia razionalmente che emotivamente, è importantissimo per determinare che persona saremo. Per questi motivi ho deciso che Oscar il gatto custode doveva essere un libro per bambini. Ma, mi dicono, è apprezzatissimo anche dai grandi.
Quindi un libro senza età…
Precisamente. Il bello dello scrivere per bambini è che puoi fare libri che valgono dai 6 ai 99 anni, mentre non è sempre vero per i libri che nascono per adulti.
Oscar il gatto custode è un libro che tutti possono leggere, e non necessariamente dopo aver subito un lutto. Anzi, andrebbe letto prima, proprio per quel che si diceva prima: può aiutarci a prepararci quando incontreremo quel momento nella vita vera.
Come è stato accolto il libro dai lettori?
Devo dire molto bene (fiuuu, per fortuna J ). Non posso nascondere che il giorno della prima presentazione pubblica di Oscar fossi molto tesa, perché il testo è molto impegnativo emotivamente, e non sai mai come verrà recepito dai lettori. Soprattutto, ero molto più spaventata da come avrebbero reagito gli adulti, ad esempio i genitori. I bambini sono molto più spontanei e accettano le cose, anche la morte, come parte del corso naturale dell’esistenza, anche se naturalmente anche con loro bisogna sempre adottare il giusto linguaggio e il giusto modo.
L’adulto, invece ha, come è ovvio che sia, una consapevolezza diversa della morte, spesso carica anche di angoscia esistenziale o di dolore, anche collegato a esperienze personali.Questo spesso genera rifiuto, quindi temevo che potessero irrigidirsi e non gradire la storia di Oscar, che ci mette davvero di fronte a questa emozione. Per fortuna devo dire che questo non è accaduto (almeno non in maniera manifesta), e sia i grandi che i piccoli stanno molto apprezzando “il libro del gatto”.
Parliamo dei nomi dei protagonisti…a parte Oscar, che abbiamo capito essere il nome del vero gatto in “pelo e baffi”, gli altri hanno un significato particolare?
Sì, raramente nei miei libri scelgo i nomi a caso: ogni nome viene scelto per evocare un’immagine o un concetto ben preciso. Questa abitudine la devo a una delle mie fonti di ispirazione, ovvero JK Rowling, che soprattutto nella saga di Harry Potter assegna con estrema precisione i nomi a tutti i suoi personaggi. In Oscar il gatto custode ci sono due nomi parlanti, cioè che dicono ciò che il loro personaggio rappresenta: il Dottor Bonaiuto e il Signor Malatesta. Il primo è un chiaro omaggio al lavoro dei medici, in particolare i geriatri e coloro che si occupano dell’assistenza di malati anziani e cronici, che con le loro cure offrono un “buon aiuto” ai pazienti. Malatesta è invece un riferimento alla malattia del Signor Malatesta, che nello specifico è Alzheimer o un’altra forma di demenza senile neurodegenerativa in cui la testa “fa i capricci” e non funziona più bene come un tempo.
Il nome dell’infermiera Dolores è stato scelto per sdrammatizzare un po’ la paura che spesso abbiamo degli infermieri, che poi spesso solo quelli che ci “fanno sentire dolore” perché ci fanno le punture, ad esempio. Il nome è in spagnolo, anche in riferimento alle moltissime infermiere, spesso di origine sudamericana, che ormai lavorano nei nostri ospedali con grande passione e professionalità.
Per ultimo, parliamo della Signora Lisa; qui devo dire che non è tutta farina del mio sacco. Inizialmente la Signora Lisa aveva un altro nome, ma che poi ho deciso di cambiare. È stata la mia cara amica e collega scrittrice per ragazzi Livia Rocchi a darmi l’idea, dicendo che la Signora Lisa, che “parla con i sorrisi invece che con le parole”, ricordava la Monna Lisa. Quel nome mi sembrava perfetto e così lo utilizzai.
E invece il nome di Mewt?
Questo è quello di cui sono più fiera, anche se ammetto che senza una spiegazione sia molto difficile da cogliere. Mewt altro non è che la Morte, che viene ad accompagnare gli ospiti di Villa Speranza nel loro viaggio più importante. Oscar la conosce come una vecchia amica, la vede e ci parla: essendo lui il narratore in prima persona ed essendo l’unico che la può nominare, perché l’unico che la vede arrivare, volevo che avesse un “nome da gatto”, un suono che un gatto potesse pronunciare ad altra voce, come infatti fa Oscar nel libro. D’altra parte, volevo anche che il nome fosse anche in qualche modo evocativo di cosa Mewt fosse in realtà, la morte appunto. Sembrava un’impresa impossibile, quando, navigando nel web, ho scoperto che in lingua maltese la parola “mewt” significa proprio “morte” (di una persona). E Mewt assomiglia molto al verso di un gatto che fa “mew”. Avevo trovato il nome perfetto.
Per saperne di più sull’autrice Chiara Valentina Segré Chiara Segré.
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